Storia


Origini ed Età Romana

La città, secondo alcune correnti antichistiche sviluppatesi soprattutto nei secoli passati ma di cui una certa eco si ascolta ancora oggi, avrebbe raccolto l'eredità dell'antica città sabina di Eretum, situata poco più a nord lungo il corso del fiume Tevere, la cui storia risale tanto indietro quanto quella di Roma stessa

Di Eretum non resta però alcuna identificabile rovina. Gli storici antichi, da Strabone a Plinio a Tito Livio, concordano nell'indicarne il sito al XVIII miglio della via Salaria dove l'antico tracciato della consolare si incrociava con quello della via Nomentana.

Citata nell'Eneide di Virgilio tra le città latine che presero le armi contro Enea, Eretum è ricordata dagli storici antichi soprattutto come teatro delle lotte tra romani e sabini in età monarchica. Battaglie presso Eretum si combatterono secondo lo storico Dionisio, sotto i regni di Tullo Ostilio e di Tarquinio il Superbo e poi ancora nella prima età repubblicana. Tito Livio racconta che nella sua spedizione contro Roma vi passò anche Annibale, ma è certo che dopo la sottomissione della Sabina a Roma (290 a.C.), l'importanza della città andò scemando.


Medioevo e Rinascimento

L'area dell'attuale città, che non insiste sul sito sabino della citata Eretum, venne però abitato in modo più massiccio a partire dai secoli X - XI, quando si originò l'abitato medievale.

Monterotondo, per la sua ubicazione presso la via Salaria, fu per molto tempo un punto strategico, nonché importante baluardo per la difesa di Roma. Il centro abitato, come lo intendiamo oggi, nacque piuttosto tardi rispetto agli altri centri sabini circostanti.

Viene infatti citato per la prima volta in una bolla papale dell'XI secolo, nella quale si faceva riferimento ad un possesso dei monaci di San Paolo di un "Campum Rotundum" nei pressi di Grotta Marozza. Il possedimento fu successivamente chiamato Monte Ereto, quindi Mons Teres che, volgarizzato, vale come Monte Ritondo, nome che diventa di uso comune dal 1300.

Tale monte, intorno all'anno 1100, fu ceduto in affitto alla famiglia dei Capocci e (*) successivamente nel XII secolo fu ceduta agli Orsini, i quali mantennero il potere fino al XVII secolo. Durante la Signoria di questa famiglia, il nome di Monterotondo ricorse spesso nelle vicende di Roma e dell'Italia, sopportando varie e terribili vicende.

Nel 1432 fu conquistata per un breve periodo da Niccolò Fortebraccio, con l'aiuto della famiglia Colonna e fu teatro di gravi distruzioni durante la guerra tra il papa Innocenzo VIII ed il Re di Napoli, col quale gli Orsini si erano schierati (1484-1492). Quando poi salì al soglio pontificio lo spietato Alessandro VI Borgia, questi, nel tentativo di annientare la potenza degli Orsini, fece avvelenare, dopo averlo imprigionato, il cardinale Battista Orsini di Monterotondo, ed impose nel 1503 la distruzione delle mura della cittadina.

Il momento più glorioso per il ramo eretino della famiglia Orsini fu quando Clarice Orsini andò in sposa, nel 1468, a Lorenzo il Magnifico, uno dei massimi esponenti del Rinascimento italiano. Importante è lo statuto comunale redatto da Francesco e Raimondo Orsini nel 1579 che prevedeva una notevole autonomia nella gestione della comunità: questa faceva capo a quattro Priori eletti per la durata di sei mesi. Il loro operato amministrativo veniva poi controllato allo scadere del mandato da due revisori che dovevano verificarne la correttezza. Per le decisioni più importanti si consultava un Pubblico Consiglio composto da un rappresentante per ogni famiglia: e questo a sua volta esprimeva dal suo seno un organo più ristretto di soli quaranta elementi chiamato appunto Consiglio dei Quaranta.


XVII secolo

Per motivi finanziari, nel 1626 gli Orsini cedettero il feudo ai Barberini, i quali cercarono di rendere tale feudo più attivo nonché rigoglioso economicamente. L'acquisto venne solennizzato con una visita in gran pompa di Urbano VIII, accolto dai cittadini in festa, e con l'elevazione di Monterotondo a Ducato, concessa dal Papa nel 1627. Sotto la nuova signoria il palazzo fu ristrutturato ed arricchito di affreschi e stucchi. Nel 1639 venne edificato il Duomo, che divenne cattedrale del vescovo di Sabina. L'abitato fu cinto di mura e reso accessibile da tre porte: la Romana, ancora esistente nel rione San Rocco, la canonica a lato del Duomo e la Ducale nei pressi del giardino del Cigno. Porta Ducale e Porta Canonica sono ora scomparse.

 


XVIII secolo

Nel 1701 diventarono signori di Monterotondo i Grillo di Genova che eseguirono nuovi restauri a palazzo, arricchirono il Duomo e costruirono il ponte sul fiume Tevere, lo stesso che ancora oggi è chiamato Ponte del Grillo.
Monterotondo godette di un lungo periodo di tranquillità, fino all'arrivo delle truppe francesi del generale Garnier, venute a Roma per innalzare la bandiera della democrazia. Costoro cinsero d'assedio la città, ma dopo pochi giorni dovettero rinunciare non solo a Monterotondo ma anche a Roma, in quanto furono respinti dall'esercito napoletano. In seguito la città passò dalla famiglia Grillo al Principe di Piombino nel 1815, tornando così a godere di una relativa pace.


XIX secolo

Nel 1815 fu più volte occupata dagli eserciti di Gioacchino Murat, che per la prima volta inalberava il vessillo della liberazione d'Italia. Nel marzo del 1821 subì il passaggio delle truppe austriache, venute per ricacciare nel Regno l'esercito napoletano. Nell'anno 1845 il cardinal Luigi Lambruschini, vescovo di Sabina, venuto a Monterotondo per consacrare solennemente la basilica collegiale di Santa Maria Maddalena, restaurata ed abbellita da don Antonio Boncompagni Ludovisi, annunciò la visita del pontefice Gregorio XVI per il giorno 6 ottobre dello stesso anno. La visita fu festeggiata con grande pompa e il priore Nicola Fanucci, di fronte alla porta del municipio, consegnò le chiavi d'oro del Comune al papa. I festeggiamenti si protrassero fino a tarda sera e papa Gregorio XVI rimase così colpito dall'affetto mostratogli dai monterotondesi e dalle bellezze naturali del territorio, che il 22 novembre dello stesso anno conferì al comune il titolo di "Città", con le inerenti prerogative. Prima di Gregorio XVI anche Urbano VIII fu accolto dai Barberini suoi consanguinei, ma non sembra che concedesse qualcosa di speciale, nonostante le accoglienze calorose anche a lui riservate. In quell'epoca Monterotondo era considerata una delle maggiori città della Sabina: in un libro del tempo fu infatti definita "la Parigi della Sabina".

Fu testimone, nel 1867, della Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma. Il 26 ottobre Giuseppe Garibaldi vi entrò con i suoi volontari bruciando Porta Romana, oggi Porta Garibaldi. A preparare un carretto con zolfo e altre materie incendiarie fu Pasquale Baiocchi nativo di Città Sant'Angelo, titolare con il padre di una fabbrica di fuochi artificiali nel suo paese. Tra i giovani al seguito dell'Eroe dei Due Mondi si trovavano anche i fratelli Cairoli, Jessie White Mario, la Contessa Blawaski, russa, Giuseppe Pollini, 16 anni, di Rovereto, Fabio, Mario, Ettore, Alessandro e Raffaello Giovagnoli, dallo stesso Garibaldi chiamati "I Cairoli del Lazio", originari proprio di Monterotondo. Oggetti e documenti a loro appartenuti sono nel Museo nazionale della Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma in Mentana.

Cimeli della Campagna del 1867 riferiti a Monterotondo come il catenaccio di Porta Garibaldi (ogni parte è autenticata da sigillo a piombo del Comune di Monterotondo) sono nel Museo della Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma, direttore scientifico dal 1997 il prof. Francesco Guidotti consulente storico del Comune definito dal sindaco Lupi nel novembre 2007: "massima autorità storica del territorio sui temi del Risorgimento in particolare per la Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma". Attigua in Mentana al Museo l'Ara-Ossario dei Volontari caduti nella Campagna del 1867. In città si cita da parte papalina il presunto episodio di Garibaldi che di persona sarebbe entrato dal portone principale del Duomo in sella ad un cavallo. Comunque in un libro del prof. Guidotti è spiegato e documentato come i garibaldini pagarono quanto preso ed usato durante l'occupazione della città testimoniato anche da Raffaello Giovagnoli in una lettera dei primi del 900. Una raccolta di 250 volumi sul Risorgimento e Campagna del 1867 molti dei quali rarissimi sono nella biblioteca personale e privata del direttore prof. Francesco Guidotti.


XX secolo

Nel 1943 Palazzo Orsini Barberini fu sede per alcuni mesi dello Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano. Il 9 settembre 1943, a seguito dell'armistizio con gli angloamericani, i tedeschi con un lancio di 800 paracadutisti provenienti da Foggia, guidati dal Maggiore Walter Gericke ne tentarono la cattura. La sede fu contesa strenuamente dai reparti italiani dell'esercito (tra questi la "Piave" e la "Re"), dei carabinieri ed anche da cittadini armati, e costò ai tedeschi la perdita di 300 paracadutisti, di cui 48 caduti, mentre gli italiani ebbero 125 caduti e 145 feriti, tra i quali 14 carabinieri. A seguito di questi fatti furono concesse decorazioni a Vittorio Premoli del 57º Reggimento Fanteria "Piave" (Medaglia d'Oro al Valor Militare), al Carabiniere Giuseppe Cannata, che dopo strenua difesa di un posto di blocco venne colpito a morte (Medaglia d'Argento al Valor Militare), a Dario Ortenzi (detto Garibaldi) che ha combattuto contro i tedeschi all'eta' di sedici anni (Medaglia d'Argento al Valor Militare), al Tenente dei Carabinieri Raffaele Vessichelli, comandante di gruppo autonomo mobilitato con il compito di difesa e sicurezza del Palazzo Orsini Barberini (Medaglia di Bronzo al Valor Militare), al carabiniere Cesare  Tassetto (Distintivo d'onore ferito in guerra). Episodi eroici di lotta partigiana seguirono nel 1944 con il sacrificio di Edmondo Riva (Medaglia d'Oro al Valor Militare). Un cippo dedicato alla memoria dei caduti militari fu eretto 60 anni dopo la battaglia nel "giardino della passeggiata".

Nel 2008 il Comune (decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare) ha concesso la cittadinanza onoraria a Paolo Sabetta, l'uomo che come responsabile della Tenuta Zootecnica di Tor Mancina salvò nel 1943/44 decine di giovani dalla deportazione in Germania; Sabbetta è stato definito dalla stampa nazionale come "il Perlasca di Monterotondo" e "il Perlasca foggiano", durante i suoi ultimi anni di vita aveva allestito un museo presso la propria abitazione a Foggia, ove viveva circondato di cimeli storici.

Il 5 gennaio 1959, per dissesti del sottosuolo, un palazzo di via Oberdan crollò rovinosamente, creando al centro del vecchio borgo un ampio slargo che venne ridenominato "Lo Sbracato".

Con Decreto del Presidente della Repubblica del 19 giugno 1978, al Comune di Monterotondo è stata conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare.

 

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